Di tanto in tanto riceviamo dei racconti e delle storie legati a stati di malattia e non. Oggi vogliamo condividere sul nostro blog proprio uno di questi racconti, inviatoci da Giandomenico, per dare voce e spazio ai suoi pensieri.
“Per sfortuna, o per fortuna, io non posso poggiarmi, in questi momenti così drammatici, sulla fede. Questo “dono” l’ho rifiutato e lo rifiuto. Piuttosto che zoppicare, aggrappandomi al bastone della credulità, preferisco fermarmi a contemplare l’assurdità di questa nostra esistenza.
Trovandomi accanto a mio padre, il cui corpo ancora respira, si muove, vive, anche se vive mi pare un termine non corretto per descrivere il suo stato vegetativo, penso sia però normale riflettere su cosa sia davvero il nostro Io. Cercare di comprendere la differenza che c’è, sempre che ci sia, tra il nostro corpo fatto di carne, ossa, cellule, e la nostra coscienza. Siamo solo quella serie di reazioni chimiche che avvengono nel nostro corpo? Quello scambio di impulsi elettrici tra neuroni, che la selezione naturale ha reso complesso ed affascinante, tanto da dar vita alla coscienza, ai sentimenti, alla creatività, all’umorismo?
O invece, quello che vediamo, è solo l’involucro che contiene qualcosa di più astratto. Qualcosa che non appartiene a questo mondo, o che comunque lo trascende. Qualcosa di inconcepibile, inafferrabile perché totalmente al di fuori delle nostre capacità cognitive. Come può esserlo una transazione finanziaria per un pesce rosso, per fare un esempio stupido.
Non so.
La mia parte razionale accetta anche che potremmo essere semplicemente macchine biologiche estremamente complesse. Mi porta a pensare che, a ben guardare, in questo universo multidimensionale in cui viviamo, contiamo quanto può contare una muffa cresciuta sulla roccia di un lontano deserto. Rispetto ai tempi con cui si muovono le galassie, noi siamo solamente un impercettibile tremolio.
Quindi, perché dovremmo essere qualcosa in più, rispetto alla polvere di cui sono fatte le stelle?
C’è però, restando sempre nel freddo terreno del razionale, la consapevolezza che, proprio perché il mondo lo vediamo attraverso questo corpo fatto di materia, questo filtro assolutamente effimero, la realtà possa essere differente.
La prigione più immediata a cui mi viene da pensare è il tempo. Il modo in cui ne percepiamo lo scorrere, come azzardavano antichi pensatori orientali, ma a ben vedere anche i profeti da cui sono poi nate le grandi religioni monoteiste, è un’illusione. La fisica quantistica ci ha dimostrato che l’eternità, è la vera veste con cui dovremmo guardare a questa dimensione.
Già così, comprendendo cioè che non esistono un prima ed un dopo temporale, tutta la nostra esistenza si svela per l’illusione che in realtà è. Se il tempo non scorre, allora quello che abbiamo davanti agli occhi è una bugia. Tutto va ripensato, alla luce di questa consapevolezza. Cos’è la morte di una persona, se non esiste lo scorrere del tempo? Se passato, presente e futuro esistono eternamente.
Non che questo risponda alla mia iniziale domanda. Potremmo comunque essere solamente macchine biologiche, incapaci di guardare oltre l’ombra riflessa nella caverna.
Però, la mia parte irrazionale, mi porta testardamente a pensare che, proprio questa consapevolezza che va oltre i nostri limiti, oltre i filtri che ci bendano i sensi, è la traccia di una coscienza non materiale. Io mi ostino a credere che, quella forza che ci permette di stravolgere gli istinti, con cui la natura ci ha programmato, non può essere solamente un errore nel programma. Io credo sia invece la volontà del pilota, per così dire. Una volontà che, chiamatela come volete, coscienza, anima o Io, non ha nulla a che vedere con il corpo di mio padre, steso in questo letto di ospedale.
Non è di questo mondo, ma rimane stagliata nell’eternità dell’esistenza.“